Uscendo dai confini d’Italia, però, è difficile non ammirare l’impronta dei quattro manager in grado di trascinare il calcio d’Inghilterra sul tetto d’Europa: la grinta e l’agonismo di Jurgen Klopp nel suo Liverpool, la tattica e la tenacia di Mauricio Pochettino nel suo Tottenham, la bellezza e l’estrosità di Maurizio Sarri nel suo Chelsea, maglie di calcio l’imprevedibilità e la qualità di Unai Emery nel suo Arsenal. Alla fine, insomma, vincono sempre i bianconeri e, in fin dei conti, vince sempre Allegri: il tecnico livornese è quindi tanto migliore rispetto ai colleghi oppure il ruolo dell’allenatore è stato ridimensionato di fronte ad acquisti milionari e alla diffusione di poche, grandi potenze nel calcio italiano ed europeo? E, tornando al caso particolare della Serie A, Ottavio Bianchi, ex tecnico di Napoli, Roma e Inter, ha affermato: “Un allenatore non incide così tanto in Serie A. L’importante è avere a disposizione buoni giocatori. Nella massima serie conta molto di più la società”. La lista delle pretendenti per il prossimo gran ballo degli allenatori coinvolge il meglio del calcio italiano: Juventus, Inter, Atalanta, Milan, Roma, Lazio, Sampdoria.
La tenacia di Spalletti, tra Roma e Inter, ha regalato emozioni e sussulti, ma soltanto quattro secondi e un terzo posto in carriera, senza alcun tricolore. Un’opinione importante arriva dallo stesso Allegri, che di fatto “sminusce” la propria importanza, alla Juventus come altrove: “Il calcio è semplice. Nel basket a cinque secondi dalla fine dell’azione si passa la palla al più bravo e lo si manda al tiro. Nel calcio la differenza la fanno i giocatori, non gli schemi. Le partite le vincono i giocatori forti”. E avrebbero dovuto ricevere insieme il premio Bambi, un award individuale assegnato ogni anno in Germania a “personalità che si sono distinte per visione e creatività, che hanno ispirato il pubblico tedesco”, se il litigio tra Ribéry e il giornalista francese Patrick Guillou non fosse stato considerato un episodio inaccettabile dalla media corporation che assegna il il premio. Che avrebbero dovuto aspettare altri diciotto minuti per assistere a quella che oggi coincide con l’alba di un’era: il momento in cui sveste la tuta e fa il suo ingresso in campo Franck Ribéry, condividendo per la prima volta il terreno di gioco con quello che sarebbe diventato il suo futuro gemello, colui che da lì in avanti sarebbe stato quasi sempre accostato al suo nome e alla sua immagine.
Quel compagno è Ribéry, che in questa staffetta storica parte a sua volta in progressione verso la porta, tiene a distanza il difensore, e, dopo un’aggraziata galoppata arriva al limite dell’area avversaria, osserva alla sua sinistra e vede Robben in posizione vantaggiosa per chiudere a rete. Il loro marchio sulla storia è fatto di 19 titoli conquistati insieme in Germania (tra Bundesliga, Coppe di Germania e Supercoppe tedesche), una Champions League, una Supercoppa Europea e un mondiale per club in più di 700 presenze totali, segnate da quasi trecento gol in due (143 per Robben e 121 per Ribéry). Due linee parallele che non si sono mai incrociate, e che hanno trovato in questa scettica simmetria la loro realizzazione sportiva. Inevitabilmente queste parole hanno rimandato con la memoria a quell’uscita infelice dell’ex presidente della Federcalcio, Carlo Tavecchio, che a proposito delle donne nel calcio aveva avuto modo di dire: “Fino ad ora sono state ritenute handicappate rispetto agli uomini, ma noi abbiamo riscontrato che non è così”. Gli azzurri hanno sposato un progetto a lungo termine con Carlo Ancelotti, nella speranza di tornare al più presto a festeggiare il tricolore, sfuggito sul più bello in troppe occasioni in questo passato recente.
Altre rivalità molto sentite intercorrono con gli ultras del Torino, del Napoli, quest’ultima per via del gemellaggio che storicamente li ha legati ai genoani, e del Bologna. Non lo sapeva. Gli avevano fatto credere che i debiti ammontavano a 598 milioni; alla prima ricognizione scoprì che il buco era più vicino ai tre che ai due miliardi. Parlava senza simpatie, era testardo. La formazione era la seguente: Francesconi, Pirovano, Lanfranchi, Ghinelli, Cremonesi, Franziosi,U. Ed ecco il bambino, quell’unico spettatore, anche lui prigioniero in un ammasso d’ambra in cui la partita di calcio in televisione era soltanto un’episodio occasionale, come occasionale è la festa. Il Bayern deve moltissimo a entrambi e preparerà per loro una grande festa d’addio. Vedere tanti volti felici, sentire l’aria che vibra e l’amore per la maglia dell’Atalanta invadere tutto proprio mentre lo spettacolo in campo si ferma per qualche istante è qualcosa che ripaga mesi di fatica e di passione per un gruppo semplicemente fantastico.
Di più su maglie calcio a poco prezzo affidabile sulla nostra home page.